Approfondimenti: i sistemi laser per epilazione
L’epilazione laser assistita per viso e corpo è una metodica che nel corso dei recenti dieci anni ha consolidato una sua collocazione importante nell’ambito dei trattamenti dermoestetici. L’energia del laser viene trasferita ai bersagli che, in questo caso, sono rappresentati dagli elementi carichi di melanina, quali principalmente la papilla dermica del follicolo pilifero, il fusto e la regione del bulge situata in prossimità del del muscolo erettore del pelo. Quest’ultima struttura sembra particolarmente importante in quanto ricca di cellule staminali in grado di rigenerare il bulbo pilifero durante il suo ciclo naturale di riproduzione. La corretta applicazione della metodica è in grado di condurre all’eliminazione parziale o totale dei peli e dei corrispettivi follicoli piliferi. Parliamo di epilazione permanente, più che definitiva, per vari motivi: per prima cosa la risposta al trattamento è variabile da soggetto a soggetto non solo in base alle caratteristiche dei peli ma anche di altri fattori, quali sesso, età ed eventuali disturbi ormonali associati. Secondariamente da più fonti è stato osservato come un certo grado di ricrescita possa osservarsi, dopo un periodo variabile di tempo, anche qualora la proceduta sia stata condotta a regola d’arte ed il soggetto non abbia presentato fattori individuali in grado di predisporlo a tale eventualità, come accadrebbe classicamente in caso di coesistenza di disturbi di tipo ormonale. Nonostante questa giusta precisazione, utile al fine di limitare le aspettative talora irrealistiche dei pazienti, non può essere negato come la letteratura internazionale e le esperienza di numerosi esperti del settore giudichino favorevolmente questa tecnica a discapito di metodologie più laboriose e meno pratiche quali l’elettroepilazione.
Cenni di anatomia e fisiologia dell’annesso pilosebaceo
Il pelo è alloggiato all’interno di una cavità virtuale, detta follicolo pilifero, che si invagina sino al derma ad una profondità variabile in base alle sedi anatomiche, dai pochi mm a livello del labbro sino ad alcuni mm alla radice delle cosce. Si tratta di una unità funzionale molto complessa e biologicamente dinamica, le cui caratteristiche possono variare ampiamente in base a fattori di tipo genetico ed in rapporto alle diverse fasi del ciclo evolutivo caratteristico di questa particolare struttura. La parte che fuoriesce dalla cute è detta fusto, mentre la porzione intracutanea prende il nome di radice. Il follicolo pilifero termina con un rigonfiamento, il bulbo pilifero, sede nella quale il pelo viene prodotto dalle cellule della matrice attraverso la loro moltiplicazione e cheratinizzazione. I melanociti sono situati al di sopra delle cellule germinative della matrice e conferiscono il colore al pelo tramite la produzione di melanina inglobata dalle cellule in via di cheratinizzazione. La porzione superiore del follicolo pilifero è sede dello sbocco della ghiandola sebacea, facente parte dell’unità funzionale dell’annesso, che è deputata alla produzione di sebo, secreto oleoso che ha la funzione di lubrificare il pelo rendendolo più resistente e flessibile. Tra la ghiandola sebacea e la porzione inferiore del follicolo pilifero ha inserzione il muscolo erettore del pelo, la cui contrazione da origine al fenomeno della orripilazione e facilità lo svuotamento della ghiandola sebacea.
I follicoli piliferi sono distribuiti su tutta la superficie cutanea, escluse le regioni palmo plantari, con una densità variabile in base alle differenti sedi anatomiche, e possono esprimersi sostanzialmente sotto due forme:
- Pelo vello: caratterizzato da fusti piccoli e poco visibili, principalmente localizzato in regione frontale ed ai padiglioni auricolari e, nelle donne, alle gote ed al tronco
- Pelo terminale o irsuto: presenta un fusto robusto, ben costituito e pigmentato. Assume caratteristiche particolari nelle varie sedi, ad esempio al cuoio capelluto (capelli) i fusti si presentano molto lunghi e flessibili, alle palpebre corti e resistenti, alle gote maschili lunghi e rigidi (barba), alle ascelle ed al pube appaiono mediamente lunghi ed irregolari.
Come sappiamo nell’essere umano il ricambio del pelo avviene secondo un ciclo caratteristico che coinvolge tutti i peli del corpo ma in modo indipendente uno dall’altro, a differenza di altre specie nelle quali il ricambio avviene in modo sincrono e la perdita di pelo si manifesta con il fenomeno noto come “muta”.
Sinteticamente le fasi sono distinte in tre momenti fondamentali:
- Anagen: é il periodo della crescita durante il quale il follicolo si approfondisce nel derma e produce il fusto
- Catagen: è la fase intermedia, durante la quale cessano le mitosi delle cellule e la struttura entra in una fase di progressiva involuzione del follicolo che risale verso la superficie
- Telogen: rappresenta il terzo stadio morfologicamente distinto del ciclo vitale del pelo ed è contraddistinto da una apparente quiescenza sia mitotica che differenziativa sino all’arrivo di uno stimolo in grado di indurre la ripresa dell’attività proliferativa
Le tre fasi del ciclo di riproduzione del pelo hanno una tempistica differente e principalmente caratterizzata dall’area anatomica cutanea: alcune aree del corpo sono caratterizzate dalla presenza di un’alta percentuale di peli in anagen rispetto ad altre aree dove il ciclo ha una durata maggiore.
Il controllo del ciclo vitale del pelo avviene fondamentalmente per fattori di tipo ormonale e fattori di tipo intrinseco. I fattori di tipo ormonale sono i più importanti e variano notevolmente tra i due sessi e le diverse etnie.
Caratteristiche tecniche delle apparecchiature utilizzate
Come accennato nell’introduzione il target ideale per l’epilazione laser è rappresentato dalle strutture con alta quota di melanina collocate nel bulbo pilifero e nel bulge. Il bulbo pilifero può avere una profondità differente in base alle sedi, dai 2 mm del labbro inferiore ai 6 mm delle cosce e regione inguinale, mentre il bulge è collocato a 1,5-2 mm dall’ostio follicolare. Per raggiungere questo obiettivo in modo efficiente i sistemi laser devono necessariamente possedere alcune caratteristiche imprescindibili.
Lunghezza d’onda: in generale ad una lunghezza d’onda maggiore corrisponde una maggior penetrazione nel tessuto. Tuttavia all’aumentare della lunghezza d’onda corrisponde una minor affinità del raggio nei riguardi della melanina e pertanto la necessità di dover utilizzare fluenze maggiori con maggiore probabilità di effetti avversi. La cute possiede una cosiddetta “finestra ottica” collocata tra i 690 ed i 900 nm: in questo intervallo è massimo l’assorbimento di energia da parte del target se confrontato a quello della cute circostante. A partire dai 900 nm si assiste infatti ad una progressiva captazione dell’energia da parte dell’acqua, fenomeno che rende sempre più probabile un danno termico indesiderato. Per questo motivo le lunghezze d’onda attualmente più utilizzate sono collocate a 755 nm (laser ad alessandrite) ed a 810 nm (laser a diodo). La lunghezza d’onda a 1064 nm (laser Nd:Yag) è principalmente utilizzata per i fototipi più scuri.
Fluenza: i sistemi laser per epilazione devono essere dotati della capacità di emettere fluenze elevate in rapporto alla lunghezza d’onda, come sarà più approfonditamente spiegato nelle pagine successive. L’alta fluenza è essenziale al fine di poter trasferire una quantità di energia sufficiente al target per poterne determinare un surriscaldamento e quindi una denaturazione.
Diametro dello spot: l’assorbimento della luce laser da parte dei tessuti subisce delle deviazioni (riflessione e scattering) che limitano l’effettiva capacità di penetrazione all’interno del tessuto vitale. Per ovviare parzialmente a questo limite biologico si è capito nel tempo come il diametro dello spot dovesse risultare sufficientemente ampio per garantire una penetrazione adeguata: ad esempio 6 mm di spot per un laser ad alessandrite non risultano efficienti in quanto i fenomeni di distorsione nel tessuto limitano la possibilità che una quantità sufficiente di energia possa raggiungere le aree bersaglio. Ad esempio con i laser a 755 nm normalmente si lavora a 18 e 15 mm di spot ed i nuovi sistemi permettono addirittura di poter disporre di spot sino ai 24 mm di diametro. Verosimilmente uno dei motivi dei fallimenti delle prime apparecchiature laser per epilazione risiedeva proprio nel limite fisico dovuto alla larghezza dello spot non adeguata per questo tipo di trattamento.
Tempo di esposizione: anche in questo caso l’esperienza maturata nel corso del tempo ha permesso di stabilire quali fossero i tempi di esposizione sufficientemente brevi per ottenere l’effetto desiderato minimizzando i possibili danni alla cute. Teoricamente l’impulso luminoso dovrebbe essere intermedio al TRT dell’epidermide (3-10 msec) e quello del fusto del pelo (40-100 msec). Tuttavia per tempi superiori ai 3 msec è molto alta la possibilità che il calore possa trasmettersi all’epidermide e per tale motivo sono stati messi a punto dei sistemi di raffreddamento idonei ad abbassare la temperatura della pelle e permettere l’erogazione di fluenze più elevate e più efficaci sul target.
Vengono di seguito descritte in dettaglio le apparecchiature laser più utilizzate nell’ambito della epilazione laser.
Laser ad alessandrite
È l’apparecchiatura probabilmente più utilizzata e studiata in questo specifico settore. La sorgente è costituita da un minerale, una varietà del crisoberillo conosciuta come alessandrite (il nome deriva da quello dello zar Alessandro II di Russia al quale fu dedicata la scoperta), in grado di emettere una lunghezza d’onda di 755 nm. Tale caratteristica risulta un ideale compromesso tra l’affinità per la melanina ed il grado di penetrazione nel tessuto. Normalmente si utilizzano emissioni di 3 msec accompagnate da sistema di raffreddamento a criogeno, in grado cioè di emettere la sostanza refrigerante contemporaneamente all’emissione dell’impulso. In tal modo la cute raffreddata abbassa il suo TRT e permette di utilizzare alte fluenze con danni circostanti minimi: la mancanza della refrigerazione potrebbe infatti aumentare la dispersione del calore dalla struttura pilifera alla cute circostante con inevitabile danno termico. Gli spot utilizzati variano dai 12 mm ai 24 mm in base alla localizzazione dell’area da trattare e della profondità stimata del bulbo pilifero. Oltre all’alta efficacia clinica, tra le caratteristiche che lo rendono apprezzato dai professionisti vi è la velocità di esecuzione della manovra, fattore solitamente limitante tale tipo di trattamento in particolare quando siano da affrontare vaste aree cutanee quali il dorso o le cosce, grazie all’alta frequenza di emissione degli impulsi ed alla larghezza dello spot. L’alta affinità per la melanina non permette il trattamento dei fototipi più scuri per l’ovvia considerazione che il pigmento melanico cutaneo, a dispetto del sistema di refrigerazione utilizzato, assorbirebbe parte dell’energia dell’impulso luminoso con inevitabili effetti collaterali (ipopigmentazioni, eritemi, ustioni superficiali). Tali effetti collaterali, in misura molto ridotta, sono altresì osservabili nei fototipi III e nelle cuti abbronzate, motivo che non permette di utilizzare il sistema se la cute è stata interessata da una recente abbronzatura.
Laser a diodo
Assieme all’alessandrite rappresenta un’apparecchiatura molto efficace e performante in particolare nei fototipi chiari. La sorgente laser è costituita da un semiconduttore (il diodo) posto su una superficie di cristallo (processo di waferizzazione) che opportunamente eccitato emette una lunghezza d’onda di 800-810 nm. I moderni sistemi che adottano questo range di lunghezza d’onda utilizzano solitamente un raffreddamento a contatto al manipolo, hanno una variabilità di tempo di esposizione dai 5 ai 300 msec ed alte fluenze. La lunghezza d’onda di 810 nm permette una penetrazione maggiore nel tessuto rispetto all’alessandrite ma perde di affinità per la melanina: per questo motivo solitamente vengono impiegate ampiezze d’impulso superiori ai 3 msec. Il target anche in questo caso è prevalentemente rappresentato dal pigmento anche se una certa quota di energia può essere assorbita dall’ossiemoglobina e quindi alterare le strutturi vascolari pilifere aumentando l’efficacia del trattamento. Il limite maggiore di questo tipo di tecnologia è rappresentato dal minor diametro dello spot offerto dalle apparecchiature che raggiunge solitamente i 9 mm e richiede pertanto tempi di esecuzione più lunghi. Alcuni modelli tuttavia hanno sviluppato la possibilità di ampliare questa grandezza sino a 18 mm utilizzando un sistema che “aspira” la cute all’interno di una piccola cavità del manipolo consentendo di poter trattare una superficie più ampia.
Laser a neodimio (Nd:Yag)
I sistemi a neodimio hanno una sorgente solida (cristallo di granato di alluminio ed ittrio drogato con neodimio) in grado di emettere una lunghezza d’onda di 1064 nm che ha la caratteristica di poter penetrare il tessuto profondamente: lo svantaggio consiste nel porsi al di fuori della cosiddetta “finestra ottica” della cute, di possedere una affinità per i cromofori ridotta e più vicina all’acqua e di subire in maniera maggiore il fenomeno dello scattering. Queste caratteristiche resero in passato meno efficace l’epilazione rispetto ai sistemi ad alessandrite o a diodo non possedendo le apparecchiature spot sufficientemente ampi, alte fluenza e sistemi di raffreddamento adeguati. Il perfezionamento tecnologico ha permesso nel tempo di migliorare le performance di questa categoria di laser grazie all’ampiezza dello spot, oggi sino a 20 mm di diametro, all’aumento delle fluenze ottenibili ed alla miglior dotazione di sistemi di raffreddamento. Grazie a queste migliorie tecniche è possibile lavorare allo stesso modo descritto per il laser ad alessandrite: la minor affinità per la melanina richiede tuttavia l’utilizzo di fluenze più alte e di un sistema di raffreddamento molto efficiente, permettendo così di poter utilizzare un tempo di esposizione basso, 3 – 5 msec, con una efficacia solo lievemente inferiore ai sistemi precedentemente descritti. La bassa affinità per la melanina permette di trattare così anche i fototipi scuri, dal IV al VI: naturalmente le sedute richieste saranno più numerose e le possibilità di effetti collaterali, se non vengono rispettati i parametri consigliati, più frequenti.
Preparazione del paziente
Prima di sottoporsi a qualsiasi applicazione laser la cute dovrebbe essere stata adeguatamente detersa ed asciutta. Va evitato il permanere di qualsiasi prodotto, anche un semplice idratante, sulla cute da trattare. Non andrebbero applicate creme anestetiche sia per l’ampia zona da sottoporre all’applicazione laser sia perché potrebbero interferire con l’appropriato assorbimento della luce da parte dei target. In casi selezionati (ad esempio per il trattamento dell’area periorale o di altre zone limitate) la loro applicazione va comunque accompagnata da un’accurata detersione ed asciugatura della cute prima della seduta.
Per permettere alla luce laser di agire sulla struttura pilifera vanno evitati tutti i metodi di depilazione, come la ceretta, che asportino meccanicamente i peli dalla loro sede: andrebbe effettuata una rasatura con lametta da barba alcuni giorni prima del trattamento presentandosi alla seduta con il fusto emergente di uno o due millimetri dall’ostio follicolare.
Esecuzione del trattamento
Il paziente deve essere disteso sul lettino ed in posizione comoda: anche utilizzando gli apparecchi più performanti una seduta di epilazione laser di ampie superfici, ad esempio il tronco, può richiedere oltre un’ora di tempo considerando la possibilità che si possano effettuare delle pause tra una raffica e l’altra per permettere alla cute di raffreddarsi e per ridurre il disagio legato alla sensazione più o meno fastidiosa che provoca la metodica. Prima di iniziare l’applicazione è importante aver controllato tutti i parametri dell’apparecchio laser quindi iniziare l’applicazione mantenendo sempre il manipolo perpendicolare alla cute, in particolare quando vengano utilizzati spot ampi. Tutti gli operatori ed il paziente devono indossare gli occhiali protettivi.
Norme da seguire dopo le sedute
È consigliabile l’applicazione di una crema antibiotica subito dopo la seduta e per una settimana al fine di ridurre le possibili, anche se rare, sovrainfezioni batteriche conseguenti al microtraumatismo. In caso di necessità è altresì raccomandabile l’applicazione di un filtro solare ad alta protezione almeno per una settimana dopo la seduta. Sono sconsigliabili prodotti irritanti o detergenti troppo aggressivi sino al permanere dell’eritema.
Dopo alcuni giorni dalla seduta è possibile osservare una apparente ricrescita dei peli: si tratta in realtà della porzione di fusto che si trovava all’interno del bulbo che viene espulsa dopo l’applicazione del laser.
Intervallo tra le sedute e numero di sedute richieste
Anche se non tutti gli autori sono concordi con questa teoria, il pelo viene considerato più vulnerabile durante la fase anagen: questo perché essendo metabolicamente attivo ha più probabilità di essere denaturato nelle strutture più importanti ai fini della rigenerazione del tessuto che sono rappresentate dalla matrice e dal bulge. Tale eventualità spiegherebbe anche la ridotta performance di ogni seduta, che si attesta attorno ad un 15%, e la conseguente necessità di ripetere il trattamento. Seguendo questa teoria la seduta andrà pertanto programmata ad un intervallo sufficiente a permettere a tutti i peli di rientrare in questa fase, quindi indicativamente 6 settimane al volto ed oltre 2 mesi al dorso.
Nella pratica per determinare l’intervallo di tempo che deve trascorrere tra una seduta e la successiva generalmente ci si basa sulla ricrescita: in media sul viso l’intervallo è di circa 4 settimane, mentre nel resto del corpo può variare tra le 6 e le 8 settimane con ampi margini di variabilità individuale e con allungamento dei tempi al proseguire delle sedute. Anche prevedere quante sedute occorreranno per ottenere un risultato soddisfacente non è possibile se non analizzando le caratteristiche individuali: potranno essere considerate come 6 le sedute medie richieste per il viso, sino a 10 quelle per il corpo, ma è molto importante stabilire prima il tipo di target: se i peli sono sottili o chiari e magari in un fototipo scuro la quantità di sedute richieste potrà essere maggiore e l’efficacia inferiore alle aspettative. La situazione più favorevole è rappresentata dall’evidenza di peli scuri su carnagioni chiare: per evitare inutili contenziosi durante la visita preliminare è opportuno informare i pazienti di tutte le eventualità, anche quella di una possibile scarsa risposta terapeutica.
Controindicazioni
Il trattamento non è consentito nelle donne in gravidanza accertata o presunta, nelle pelli recentemente abbronzate ed in pazienti che soffrono di patologie fotosensibili, come ad esempio il lupus. Particolare attenzione deve essere riposta nei confronti dei soggetti che assumono farmaci foto sensibilizzanti: pur essendo il laser una luce coerente, e quindi concettualmente diversa dalla radiazione elettromagnetica naturale, le possibilità di effetti avversi sono superiori. Una buona norma potrebbe essere quella di saggiare la sensibilità individuale trattando solo un’area corporea limitata e rimandando l’applicazione estesa dopo un controllo ad una settimana.
Particolare attenzione deve essere riposta nell’evitare di colpire con laser ad impulso lungo eventuali aree tatuate: questa eventualità potrebbe arrecare ustioni anche severe ed importanti esiti cicatriziali. È pertanto importante coprire accuratamente i tatuaggi con mezzi fisici (ad esempio garze inumidite) o con correttori bianchi, come già menzionato per le lesioni melanocitarie.
Va infine raccomandato di non trattare per nessun motivo le aree periorbiarie con apparecchiature ad impulso lungo (in particolare quando si utilizzino ampi spot con laser Nd:Yag) in quanto è possibile un danneggiamento retinico riportato più volte in letteratura.
Effetti collaterali
Se l’applicazione del laser è stata condotta secondo i criteri di sicurezza gli effetti collaterali sono generalmente rari e transitori. Dopo la seduta l’area trattata appare eritematosa per un periodo più o meno lungo di tempo ma sempre non superiore alle 48-72 ore. Nei fototipi più scuri o se la pelle era ancora parzialmente abbronzata si verificano con una certa frequenza delle piccole aree di disepitelizzazione superficiale che possono condurre ad ipopigmentazioni nella maggioranza dei casi reversibili dopo alcuni messi. Il paziente deve essere opportunamente informato di questa eventualità. In particolare con i sistemi a Nd:Yag sono anche possibili iperpigmentazioni secondarie al trattamento e parimenti reversibili nel giro di alcuni mesi.
In taluni soggetti è possibile osservare una ricrescita paradossa del pelo dopo la seduta: questo fenomeno è la congruenza di una trasformazione dei peli vello in peli terminali a seguito della stimolazione della luce laser. Nonostante il fenomeno non sia stato spiegato con precisione, è ipotizzabile che l’applicazione di basse fluenze possa non essere sufficiente a distruggere la struttura del pelo ma al contrario fungano come una sorta di “biostimolazione”. Nel caso di comparsa di questo effetto secondario sarà comunque possibile ritrattare i peli la seduta successiva: avendo assunto un target adeguato risponderanno adeguatamente alle successive sedute laser.
Consulta la pagina dedicata all’EPILAZIONE DEFINITIVA